Scopriamo in questo articolo chi è il dirigente d’azienda, quali sono i suo obblighi e le sue responsabilità.
Il dirigente d’azienda è quel soggetto che grazie alle sue competenze professionali e i poteri gerarchici e funzionali in relazione all’incarico svolto, mette in funzione le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività e vigilando sul suo corretto svolgimento. In altre parole, il dirigente svolge le funzioni del datore di lavoro o di un suo sostituto, avendo l’autonomia necessaria per esercitare la propria funzione.
L’attività del dirigente si riferisce a un settore specifico o a tutta l’azienda nel suo complesso. Il ramo autonomo dell’azienda è un complesso unitario di servizi che hanno la medesima finalità e che, anche se destinati al medesimo organismo, possono assumere una configurazione indipendente attraverso l’accentramento di attività e mezzi che dunque hanno un rapporto di diretta dipendenza da questo.
Si deduce, quindi, la centralità del dirigente all’interno della complessa realtà dell’azienda. A volte per sopperire ad una elevata articolazione che caratterizza un’impresa, può essere necessario prevedere una serie di dirigenti, organizzati tra loro in ordine gerarchico, prevedendo sia vincoli di subordinazione che di coordinamento.
Il Decreto Legislativo n. 242 del 1996 distingueva gli obblighi del datore di lavoro da quelli che dei dirigenti, ponendo una distinzione tra le due figure, il Decreto Legislativo n. 81 del 2008 supera questa distinzione.
Poichè il dirigente è un delegato del datore di lavoro, egli deve occuparsi anche del tema della sicurezza sul lavoro, avendo le necessarie competenze e responsabilità che gli consentono di esercitare questo tipo di priorità. La sentenza n. 1238 della Corte di Cassazione indica che il controllo esercitato dal dirigente al fine delle misure di sicurezza stabilite dall’ordinamento lavoristico, consiste nelle misure relative a informazione, formazione, attrezzature idonee, presidi di sicurezza, e comunque ogni altra misura idonea, per comune regola di prudenza e diligenza, a garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro.
Il dirigente ha il compito di monitorare, con una continua attività di vigilanza e controllo, i comportamenti dei lavoratori che possano rendere vani le cautele che sono state già intraprese, adottando i necessari provvedimenti disciplinari, fino ad arrivare al licenziamento. L’obbligo di vigilanza assidua e continuativa muore solo nel caso in cui si stiano espletando operazioni di semplicità estrema, affidate a dipendenti dotati di elevato grado di specializzazione e di lunga esperienza.
Un soggetto che gestisce uno o più servizi in autonomia decisionale ha diritto alla qualifica di dirigente e l’azienda deve riconoscerne il relativo inquadramento, questo è quanto è stato stabilito dalla Cassazione con la sentenza n. 18165/2015, che definisce “infondata la tesi che condiziona il riconoscimento della qualifica dirigenziale alla formale investitura da parte dei vertici aziendali”.
La Suprema Corte ribadisce con sentenza n. 5809 del 2010, che ai fini del riconoscimento della qualifica dirigenziale: “è sufficiente che sia dimostrato l’espletamento di fatto delle relative mansioni, caratterizzate dalla preposizione a uno o più servizi con ampia autonomia decisionale, e non occorre anche una formale investitura trasfusa in una procura speciale”.
La stessa sentenza definisce anche la seguente differenza fra:
- Dirigente, in questo caso la qualifica spetta se il dipendente è preposto alla direzione dell’intera organizzazione aziendale, ovvero ad una branca o a un settore autonomo di essa, con attribuzioni che, per la loro ampiezza e i poteri di iniziativa e discrezionalità che comportano, implicano di fatto una partecipazione alle decisioni di governo complessivo dell’azienda.
- impiegato con funzioni direttive cioè colui che è preposto a un singolo ramo di servizio, ufficio o reparto e svolge la sua attività sotto il controllo di un imprenditore o di un dirigente, con poteri di iniziativa circoscritti e con corrispondente limitazione di responsabilità.
Il licenziamento del dirigente è legittimo anche senza giustificato motivo, per esempio nell’ipotesi di crisi aziendale, basta che non vi siano discriminazioni nella decisione di interrompere il rapporto di lavoro, nell’ambito di una semplice scelta di ristrutturazione dell’organico/organizzazione della propria azienda.
Un’azione di riorganizzazione aziendale portata a termine assumendo nuovi dipendenti di livello basso, eliminando buona parte delle figure dei livelli dirigenziali, rendono lecito il licenziamento del dirigente le cui mansioni svolte in precedenza dallo stesso erano state suddivise per essere in parte affidate ad altra figura.
Le mansioni del manager licenziato, affinché la procedura risulti legittima, non devono essere affidate ad una posizione lavorativa esattamente sovrapponibile alla sua ma solo in parte ad altro dirigente. L’azione dell’azienda, in questo caso, sarebbe imputabile ad una riorganizzazione effettuata in buona fede e correttezza nei confronti dei lavoratori. Motivi per i quali un eventuale ricorso del manager sarebbe respinto dai giudici.
I dirigenti sono lavoratori subordinati, ma il loro rapporto è regolato quasi esclusivamente da normative speciali e dalla contrattazione collettiva dei diversi settori di appartenenza.
I CCNL Industria e Terziario riconoscono come dirigenti i lavoratori che in azienda ricoprono un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale e la cui attività è diretta a promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi dell’impresa.
I contratti collettivi di categoria contengono l’indicazione dei requisiti cui è subordinato il riconoscimento della qualifica dirigenziale e talvolta individuano alcune figure tipiche di dirigente.
La Giurisprudenza prevalente riconosce quale dirigente il lavoratore subordinato fornito di elevato grado di responsabilità verso l’imprenditore, cui presta una collaborazione di carattere prevalentemente intellettuale, allo scopo di coordinare l’attività aziendale nella sua totalità o in alcuni suoi grandi rami autonomi.
Il rapporto di lavoro tra dirigente e azienda può cessare per risoluzione consensuale, dimissioni o licenziamento; inoltre, si estingue alla scadenza del termine quando il contratto con il dirigente è a tempo determinato. In caso di estinzione con il consenso delle parti non esiste alcun obbligo di preavviso: il rapporto cessa di avere efficacia secondo gli accordi intercorsi tra datore di lavoro e dirigente.
Di norma al dirigente viene corrisposta una somma a titolo di incentivo all’esodo. In materia di dimissioni si precisa che generalmente, ai dirigenti si applicano le disposizioni che disciplinano le dimissioni per la generalità dei lavoratori.
I contratti collettivi prevedono che le dimissioni del dirigente debbano essere comunicate all’azienda per iscritto e prevedono un termine di preavviso commisurato alla durata del rapporto.
In caso di trasferimento di proprietà dell’azienda, compresi i casi di scorporo, fusione e concentrazione, non possono in alcun modo essere pregiudicati i diritti acquisiti dal dirigente. Secondo l’orientamento consolidato in Giurisprudenza, la facoltà di recesso accordata al dirigente dalla contrattazione collettiva si estende anche a quei casi in cui, per trasferimento di quote o azioni di società, si determinano ugualmente sostanziali cambiamenti nella titolarità dell’azienda, pur nell’ambito dell’immutata soggettività della società.
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