TFR: come si calcola

TFR

Calcolo TFRAlla fine di ogni rapporto lavorativo, il datore di lavoro dovrà corrispondere obbligatoriamente al lavoratore il TFR (Trattamento di Fine Rapporto) o quello che nel gergo comune chiamiamo liquidazione, parliamo delle somme che l’azienda ha trattenuto ogni mese dalle buste paga del dipendente e a condizione che il dipendente abbia scelto di mantenerle in azienda. Non vi è alcuna possibilità di accreditare tali somme sul proprio conto ma si può scegliere di destinarle a forme di previdenza complementare.

Il fondo del TFR maturato al 31 dicembre dell’anno n-1 (per esempio nel 2016 sarà il 2015) viene rivalutato sulla base di un coefficiente fisso pari all’1,5% a cui si aggiunge un coefficiente variabile pari al 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo ISTAT, per le famiglie di operai e impiegati, accertato dall’ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente.

La base di calcolo a cui applicare questo coefficiente è rappresentata da tutte le voci della busta paga corrisposta per la prestazione lavorativa oltre ad altre eventuali somme che vengono corrisposte anche in natura o come fringe benefit e ad esclusione di quelle che non sono tassate, come ad esempio i rimborsi di spese.

In parole povere possiamo definire il TFR come una somma che si accumula nel tempo e del quale si può decidere la destinazione in una delle seguenti opzioni:

  1. TFR a forma di previdenza complementare: i lavoratori che operano nel settore privato possono destinare il TFR maturando o al fondo negoziale di categoria, o a un fondo pensione aperto oppure a una forma pensionistica individuale. Il datore di lavoro può decidere di riconoscere un contributo aggiuntivo a proprio carico a chi desidera aderire alla previdenza complementare. Solitamente, questo contributo viene deciso in sede di contrattazione collettiva o in presenza di un accordo aziendale, ma nulla vieta al datore di lavoro di decidere di versarlo anche in assenza di accordi collettivi e anche nel caso in cui il lavoratore scelga una forma pensionistica diversa da quella prevista dalla contrattazione.
    Nel caso di adesione ad un fondo negoziale, quando è prevista una contribuzione a carico del lavoratore e quest’ultima viene sospesa, la contrattazione collettiva può prevedere la sospensione dell’obbligo contributivo a carico del datore di lavoro. Allo stesso modo se il lavoratore, dopo almeno 2 anni di adesione al fondo individuato dall’accordo collettivo, decide di trasferire la propria posizione ad un’altra forma complementare, potrebbe perdere il diritto al contributo del datore di lavoro.Infine il lavoratore è libero di determinare l’entità dei contributi a proprio carico, oltre a versare il TFR, può infatti decidere di destinare una somma aggiuntiva al finanziamento della forma di previdenza complementare prescelta. In presenza di accordi collettivi possono essere determinate la modalità e la misura minima del contributo a carico del lavoratore. Nel caso dei lavoratori autonomi, il contributo minimo da versare è da essi liberamente determinato, a meno che la forma pensionistica prescelta non preveda una soglia di contribuzione minima. Bisogna ricordare che, in ogni caso, la deducibilità dei contributi dal reddito imponibile individuale è limitata a 5.164, 57 euro l’anno. Entro questa soglia rientrano anche eventuali contributi versati a favore di persone fiscalmente a carico.
  2. TFR in azienda: lasciare il TFR in azienda non presenta alcun costo di gestione per il lavoratore, la tassazione del TFR in azienda viene attuata applicando un’aliquota del 17% sulla rivalutazione dello stesso, il TFR in azienda si rivaluta ogni anno del 75% del tasso di inflazione più la misura fissa dell’1,5%, quindi, il TFR si rivaluta sempre salvo i casi di deflazione;
  3. TFR direttamente in busta paga: Da aprile 2015 e fino al 30 giugno 2018, cioè fino al termine del periodo di sperimentazione è possibile scegliere di farsi liquidare ogni mese in busta paga una quota del TFR maturato, come parte integrante della retribuzione mensile del lavoratore. Si chiama Qu.I.R. cioè Quota maturanda del Trattamento di fine rapporto, in altre parole ogni lavoratore dipendente del settore privato, in servizio da almeno sei mesi, potrà in ogni momento, fino alla chiusura della finestra di sperimentazione a giugno 2018, decidere se avere la Qu.I.R come parte integrativa della sua retribuzione;
  4. Acconto su TFR: si tratta di richiedere durante il periodo di prestazione lavorativa del dipendente, un anticipo sulla liquidazione per diversi motivi di carattere personale e che saranno trattati diversamente anche a livello fiscale. Questo può avvenire però solo al ricorrere di alcuni requisiti personali quali, ad esempio, sostenimento di spese sanitarie per il dipendente o sostenute per interventi o cure dirette al coniuge o ai figli; il Legislatore individua come casi, per richiedere l’anticipo del TFR, la malattia, gravidanza e puerperio infortunio, sospensione parziale o totale nel quale sia prevista l’integrazione salariale. L’anticipazione può essere richiesta per un importo non superiore al 75% della TFR maturato al momento della richiesta. L’importo erogato a tale titolo è escluso dalla formazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di assistenza e previdenza sociale. Dal punto di vista fiscale, invece l’importo erogato a titolo di TFR concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente.

Per i professionisti e gli imprenditori il Trattamento di Fine Rapporto non è previsto, ragione per cui si consiglia di procedere con un piano di accumulo in forme di previdenza complementare che siano in grado di tutelare economicamente il soggetto che si troverà probabilmente impossibilitato a continuare a svolgere la propria attività professionale al raggiungimento di una certa età.

Qual è la decisione migliore da prendere per la destinazione del TFR?

Alla luce di quanto detto sopra, la cosa migliore da fare sarebbe destinare il TFR in una forma di previdenza complementare, a meno che l’azienda per cui operiamo non sia talmente solida da scongiurare sempre il fallimento. Il TFR in busta paga non è consigliabile in quanto ci ritroveremmo a pagare più tasse sui soldi che ci spettano di diritto.

Come si calcola il TFR?

Per stabilire l’ammontare del TFR si prende come riferimento la retribuzione lorda, prendendo in considerazione tutte le voci che concorrono alla formazione dello stipendio. Gli importi accantonati ogni anno sono rivalutati (al 31 dicembre di ogni anno) e indicizzati per via dell’inflazione. La rivalutazione avviene con l’applicazione di un tasso costituito da due parti: l’1,5% in misura fissa e i 75% in misura variabile in base all’aumento dell’indice dei prezzi al consumo ISTAT. Il TFR maturato in un anno è pari alla retribuzione annuale, comprensiva di tredicesima e quattordicesima, divisa per 13,5. In ogni caso la maturazione del TFR avviene per ogni mese lavorato, o frazioni di mese di almeno 15 giorni, per consentire la rivalutazione legale e preservare così il valore reale nonostante l’inflazione.

Concludendo, la formula per calcolare il TFR è:

quota annua TFR = retribuzione annua / 13,5

poi si considera la rivalutazione del Fondo TFR (la somma delle quote annue maturate per il singolo lavoratore).

Anche il Trattamento di Fine Rapporto è soggetto a tassazione. L’Agenzia delle Entrate che comunica l’importo al lavoratore, all’atto della richiesta del TFR. Le aliquote e le regole vengono stabilite in sede di Legge di Stabilità: ad oggi la norma prevede che, per calcolare l’aliquota specifica, si dovrà fare riferimento agli scaglioni in vigore nell’anno in cui matura il diritto al TFR. In linea generale, l’imposta si aggira tra il 20 e il 27% del totale maturato, se pensiamo che alla del fine rapporto, si percepiscono da contratto anche l’indennità sostitutiva del preavviso, il patto di non concorrenza o le somme corrisposte a titolo di incentivo all’uscita dal lavoro, è una vera batosta in termini di tasse.

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